Laut Stimmen aus der italienischen Marine, welche die konservative italienische Tageszeitung „Il Foglio“ heute zitiert, würde die Abschreckung einer Seeblockade nicht funktionieren. In der Marine fürchtet man die Risiken, die Kommandanten der Kriegsschiffe und nicht die politischen Auftraggeber tragen müssten.

Ein Kriegsschiff, das ein Flüchtlingsboot vor der italienischen Küste aufhalten soll, würde um das Flüchtlingsboot spiralförmige konzentrische Kreise drehen, bis das Flüchtlingsboot anhält. Doch damit sei nicht zu rechnen, wird Vittorio Alessandro, Admiral in Ruhestand, zitiert. Die Flüchtlinge seien entschlossen, allen Gefahren zu trotzen. Hinzu kommen zahlreiche nautische Risiken. Ein grosses Kriegsschiff, das sich einem tiefliegenden Flüchtlingsboot auf diese Weise nähert, kann es bereits durch die verursachten Wellen versenken, außerdem sind die Kolosse nicht sehr wendefähig.

Der Admiral bezieht sich auf die Erfahrungen der Seeblockade 1997, als ein italienisches Kriegsschiff das albanische Flüchtlingsboot „Sibilla“ versenkte. 108 Flüchtlinge ertranken. Nach vielen Jahren wurde der italienische Kommandant verurteilt, die politischen Auftraggeber in Rom wurden nicht belangt.

Weitere Erfahrungen sammelte der Admiral 2010, als im Zuge der beginnenden Arabellion immer mehr Flüchtlingsboote in Lampedusa ankamen. Der Marine war es damals nicht gelungen, sie aufzuhalten. Im Ernstfall sei nicht damit zu rechnen, dass die Seeleute in eklatanter Verletzung des internationalen Seerechts ein armseliges Flüchtlingsboot vor einem italienischen Hafen tatsächlich stoppen wollen. Die Abschreckung einer Seeblockade könne gar nicht funktionieren.

Un ammiraglio ci spiega perché i marinai temono il blocco navale di Salvini: „La deterrenza non funziona e i rischi per i comandanti sono troppo elevati“. Parla Vittorio Alessandro

di Luca Gambardella

[…] Il governo non sembra si sia posto il problema dell’attuazione concreta del suo piano anti immigrazione, cosa che invece fanno negli ambienti della Marina Militare. L’ammiraglio in pensione Vittorio Alessandro, già comandante dell’ufficio relazioni esterne della Guardia Costiera, spiega al Foglio questa frattura pericolosa. “A Roma si fanno le direttive, ma poi in mare si deve eseguire. E ogni salvataggio è diverso dall’altro”, dice Alessandro, che ha una lunga esperienza accumulata durante i grandi sbarchi di Lampedusa del 2010.

La missione si sviluppa su due livelli, uno all’interno delle acque nazionali e un altro all’esterno. In questo secondo caso, ricorda l’ammiraglio, “una nave della Marina sarebbe obbligata a compiere il salvataggio”. Poi però c’è lo scenario di un intervento entro le 12 miglia nautiche ed è qui che i malumori delle Forze Armate aumentano, alimentati dalle esperienze precedenti, come quella del caso Sibilla del 1997. In quell’occasione, la corvetta della Marina causò l’affondamento di un’imbarcazione albanese al largo delle coste pugliesi uccidendo 108 persone. E anche in quel caso era stata accolta una direttiva del governo che imponeva un blocco navale. Ma in che modo, concretamente, si attua una manovra di ostruzione? “In alcuni casi si sceglie di fare cerchi concentrici sempre più stretti attorno alla barca che si intende fermare – spiega l’ammiraglio –. Tornando alla Sibilla, allora il comandante optò per la stessa manovra. Ma le conseguenze furono tragiche a causa delle cattive condizioni meteo, del basso livello di galleggiamento della nave albanese e del moto ondoso provocato dalla nostra corvetta”. Le variabili che influiscono su ogni attività in mare sono molte e rischiano di incidere soprattutto durante le manovre più pericolose, come quelle di ostruzione. Secondo l’ammiraglio, il rischio di commettere un errore è elevato e i comandanti della Marina sono molto preoccupati da quello che potrebbe accadere dopo. “Nel caso della Sibilla, penso giustamente, si ritenne responsabile il suo comandante che fu condannato. Ma il punto è che rimase solo, fu abbandonato. Nell’ottica dei governi, sta a chi opera in mare mettere in pratica le loro direttive. Ma le responsabilità per incidenti simili ricadono sempre e solo su chi comanda le navi. E‘ questo il vero passaggio critico di misure come quella voluta da Salvini”.

Secondo l’ammiraglio, non è detto nemmeno che i migranti si scoraggino alla vista di navi militari, come pensa invece il governo: “Si tratta di persone disperate, che mettono in conto il pericolo sin dalla partenza. Difficile credere che si fermeranno”. […] E poi, all’atto pratico, c’è da chiedersi come reagiranno gli equipaggi della Marina a queste nuove disposizioni. Le leggi internazionali impongono agli stati di facilitare gli ingressi in porto a chi è in emergenza. Qui invece si configura uno scenario senza precedenti, secondo Alessandro: “Non riesco a immaginare dei marinai che si mettono a pattugliare un porto per impedire a una nave in difficoltà di mettersi in salvo”.

Il Foglio | 10.07.2019

Italienische Marine in Unruhe wegen Seeblockade-Plan