Während sich die inneritalienische Kritik am Plan der italienischen Seeblockade formiert, verstärken die Kirchen ihre Kontakte nach Libyen und in Europa, um einen „Humanitären Korridor“ für 50.000 Geflüchtete zu realisieren.

Nach dem gestrigen Seeblockade-Beschluss des interministeriellen Comitato nazionale per l’Ordine e la Sicurezza pubblica unter Leitung des italienischen Innenministers formieren sich konstitutionalistische und institutionelle Widerstände. Zum Einen heißt es, dass eine Seeblockade nicht mit der Verfassung zu vereinbaren ist. Bei der letzten Seeblockade, 1997 gegenüber Albanien, hatte die italienische Kriegsmarine ein Flüchtlingsboot mit ca. 100 Boat-people versenkt. Zum Anderen gibt es Kräfte im Militär und in der militärpolizeilichen Guardia di Finanza, die sich nicht von einem Innenminister kommandieren lassen möchten. Ein Think-Tank kommentiert, dass für eine richtige Seeblockade 5.000 Militärs eingesetzt werden müssten, und mit mindestens 50 Toten pro Woche sei dann zu rechnen; der jetzige Salvini-Plan sei völlig unrealistisch.

Zudem müsse der parlamentarische Instanzenweg beschritten werden, auf dem der Plan scheitern würde. Anzufügen ist, dass auch die avisierte tunesische Regierung und Marine vermutlich nicht mitwirken würden.

Andererseits verschärft das italienische Innenministerium gerade die Dekrete zu Strafen gegen Seenotretter*innen.

In der Nacht kamen 47 Boat-people im italienischen Pozzallo an, die letzte Strecke hatten sie mit Hilfe der Guardia di Finanza zurückgelegt.

Die katholische Kirche (Initiative Sant Egidio) und evangelische Kirchen verstärken zur Zeit ihre Kontakte nach Libyen. Sie stützen sich dabei auf die NGO „Ärzte ohne Grenzen“, die Caritas u.a. In verschiedenen europäischen Ländern unterbreiten sie den Vorschlag, 50.000 Geflüchtete mit EU-Visa aus humanitären Gründen auszustatten und in verschiedenen EU-Ländern im Laufe von zwei Jahren aufzunehmen.

Libia: ora il corridoio umanitario

[…] Se le migrazioni mediterranee continueranno come tutti gli indicatori suggeriscono, è l’Europa che deve trovare un meccanismo di gestione ordinata e legale dei flussi.

E’ questo il senso della proposta formalmente  avanzata dalla Federazione delle chiese evangeliche e dalla Comunità di Sant’Egidio di apertura di un “corridoio umanitario europeo” dalla Libia per 50.000 profughi in due anni. Una proposta legittimata dal successo dell’esperimento del “corridoio umanitario” aperto dal Libano verso l’Italia, così come di quelli verso la Francia, il Belgio e, prossimamente, alcuni lander tedeschi. Sarebbe una “buona pratica” che diventa “sistema ordinario” di gestione di almeno una quota dei flussi migratori;  una strategia che restituirebbe all’Europa un ruolo di primo piano nella governance di un fenomeno che sia le istituzioni di Bruxelles che i singoli stati hanno immaginato di poter scaricare sui paesi più esposti e cioè Malta, Italia, Spagna.

La proposta avanzata dalla FCEI e dalla Comunità di Sant’Egidio è stata presentata al Premier Conte nei giorni scorsi e questi ha risposto in termini di vivo interesse. Il 1 luglio, inoltre, nella cornice istituzionale della Camera dei Deputati,  il Presidente della FCEI, pastore Luca M. Negro, ha incassato il sostegno del presidente dell’Aula Roberto Fico e del presidente della Commissione Affari Costituzionali Giuseppe Brescia, insieme al rinnovato impegno  della Vice Ministra agli Affari Esteri Emanuela Del Re a dare concreta attuazione a questa proposta.

Nel frattempo si muoveranno anche le chiese, cercando di fare leva sul consenso delle loro sorelle in Europa per spingere i governi ad assumersi la loro responsabilità. Un test ecumenico di primaria importanza per misurare l’impegno dei cristiani nelle politiche dell’accoglienza e della difesa dei diritti umani.

nev.it | 09.07.2019

:::::

[…] Per contrastare gli scafisti e una “guerra dei barconi” scatenata da milizie vicine ai due contendenti libici, al-Sarraj e Haftar, occorre implementare un blocco navale, dentro o fuori le acque costiere libiche. Ebbene, per implementare il blocco navale – rileva un report del GeopoliticalCenter – devono essere impiegati almeno 5000 uomini sul terreno, a difesa delle struttura strategiche, 4/6 droni da media e bassa quota per la sorveglianza delle coste, una nave con funzioni di comando e capacità di appoggio aereo per la quale immaginiamo la portaerei Cavour, due cacciatorpediniere per la protezione aerea nel caso in cui un Mig libico volesse compiere un attacco contro la nostra portaerei, una decina di unità minori, corvette e pattugliatori per imporre fisicamente il blocco navale e chiare regole di ingaggio, onde evitare che i nostri uomini diventino bersagli impotenti di terroristi e scafisti. Se si vuole stabilizzare per davvero la Libia, spiega il generale Fabio Mini, ex comandante Nato, ora brillante saggista, servirebbero ”come minino 50 mila uomini per controllare il territorio, fermare le auto, sorvegliare gli spostamenti, schedare le persone”. E occorrerebbe mettere in conto almeno 50 morti a settimana.

Huffington Post | 08.07.2019

:::::

[…] Fabrizio Coticchia, professore di Relazioni internazionali che si occupa specificamente dei problemi della Difesa, spiega che l’annuncio di una nuova missione militare da parte dell’Italia ha un problema di credibilità. “Nella zona abbiamo già altre missioni militari, inclusa Mare sicuro, che si occupa soprattutto della sicurezza di infrastrutture strategiche per l’Italia vicino alla costa libica, come gli impianti dell’Eni che trasportano energia, una missione bilaterale di assistenza – sanità, capacity building, ex Ippocrate a Misurata – una missione bilaterale di assistenza alla Guardia costiera e infine Sophia, che però è rimasta attiva soltanto come sorveglianza aerea. Adesso vogliamo cominciare una nuova missione che in qualche modo dovrebbe essere diversa da Sophia, ma non si vede come potrebbe finire a fare cose diverse”. L’annuncio del Viminale parla di “bloccare i porti”, e il partito Fratelli d’Italia parla della necessità di un blocco navale, forse è quello verso cui stiamo andando ora? “Il blocco navale presenta molti problemi legali ed è infattibile sul piano pratico”.

“L’ultima volta che la Marina militare ha tentato un blocco navale è finita con lo speronamento di una nave albanese nel canale di Otranto e la morte di cento persone, era il 1997”. “Inoltre – continua Coticchia – i numeri di migranti recuperati in mare dalle navi delle ong è irrisorio, secondo i dati più aggiornati a disposizione stiamo parlando quest’anno di 248 persone. […]

Il Foglio | 09.07.2019

Libyen: Humanitärer Korridor für 50.000 Geflüchtete