Wie immer die Hängepartie im Streit um die Sea-Watch 3 ausgehen wird, gewonnen hat die Kapitänin des Bootes, Carola Rackete, jetzt schon. Ihrer Entscheidung ist es zu verdanken, dass sich die italienische Opposition, von der in den letzten 14 Tagen in Sachen Seenotrettung nichts zu hören war, endlich nach Lampedusa aufgemacht hat und sich Abgeordnete der PD inzwischen an Bord des NGO-Bootes befinden. Wichtiger aber noch ist, dass dank ihrer Entscheidung selbst bürgerliche Medien wie der Tagesspiegel oder die Huffington Post in ihren Kommentaren wieder über die Notwendigkeit zivilen Ungehorsams nachdenken und an Zivilcourage appellieren. Die Huffington Post stellt Carola Rackete in eine Reihe mit Rosa Parks und erinnert an Hannah Arendt, die Gleichgültigkeit als Grund für die Banalität des Bösen analysiert hat, und Andrea Dernbach vom Tagesspiegel assoziiert das Drama vor Lampedusa mit der Antigone von Sophokles: Carola Rackete und die Sea-Watch verteidigen ohne Rücksicht auf persönliche Verluste das Gesetz der Humanität gegen das Prinzip der Macht. Danke, Carola, danke Sea-Watch!

Antigone aus Kiel: Deutsche Kapitänin gegen Italiens Salvini

„Ich habe beschlossen, in den Hafen von Lampedusa einzufahren. Ich weiß, was ich riskiere, aber die 42 Geretteten sind erschöpft. Ich bringe sie jetzt in Sicherheit.“ Die Worte von Carola Rackete, der 31-jährigen Kapitänin, die mit ihrem Schiff Sea Watch 3 die Menschen vor zwei Wochen aus dem Mittelmeer fischte, werden seit Mittwoch x-fach in den sozialen Netzen geteilt, auf deutsch, englisch und nicht zuletzt auf italienisch. Gerade in Italien entfalten sie ihre ganze Wirkung. In einem Land, in dem noch ein erheblicher Teil der Bevölkerung die antiken Klassiker in der Schule paukt, bekommen diese drei Sätze, die von Sophokles‘ Antigone stammen könnten, eine archaische Kraft. Das ruhig-entschlossene Gesicht der gebürtigen Kielerin unterstreicht die Botschaft noch – und dass sie ein Schiff kommandiert:

Gut gegen Böse, il capitano gegen die Kapitänin

Auf Twitter kursiert ein Bild von ihr auf der Brücke, darunter in großen Lettern: „Es gibt nur einen Kapitän.“ „Il capitano“ ist der Beiname, der sich für Matteo Salvini eingebürgert hat, Italiens rechtsradikalen Innenminister, und Seitenhiebe von der Art treffen ihn inzwischen öfter. Salvini nämlich verweigert der Sea Watch strikt die Einfahrt in einen italienischen Hafen, wie schon etlichen Seenotrettern seit seinem Amtsantritt. Er soll mit einem Wutanfall darauf reagiert haben, dass Rackete ihn einfach austrickste, indem sie trotz Verbots in italienische Gewässer fuhr und so das Anlanden des Schiffs erzwingen dürfte. Sogar das Wirtschaftsblatt „Il Sole 24 ore“ fragt: „Wer ist Carola Rackete, die Kapitänin, die Salvini die Stirn bietet?“

Mann gegen Frau, der vulgäre Rambo in Rom gegen die Kommandantin, die Verantwortung übernimmt, die wie die altgriechische Heldin ohne Rücksicht auf persönliche Verluste, hohe Geld- und Gefängnisstrafe, eine höheres Recht, die Menschlichkeit, gegen einen Mächtigen vertritt, der Unrecht tut: Das könnte das Bild sein, von dem man eines Tages sagen wird, dass es der Anfang vom Ende der bisherigen Strategie zur Verteidigung der Festung Europa war.

Der mächtige Irrtum der Mächtigen

Sie geht schon länger nicht mehr auf. Dabei schien sie von böser Intelligenz zu sein: Es begann vor Jahren damit, dass Politik und Behörden wie die EU-Grenzschutztruppe Frontex, private Seenotrettung als Hilfstruppe krimineller Schlepper denunzierte. Zunächst waren es nur Worte, in Komuniqués, auf Podien, in Presseerklärungen. Es folgte vor zwei Jahren der Versuch, die hartnäckigen Schiffscrews mit Verhaltensregeln an die Kandare zu nehmen, schließlich gab es Ermittlungen, Anklagen, Beschlagnahme der Schiffe, Flaggen wurden entzogen und auf Staaten wie Panama erfolgreich Druck gemacht, dasselbe zu tun. Wie schon oft in der Geschichte aber erlag die Macht – weiß Gott nicht nur Salvini, die EU insgesamt – dem Irrtum, sie sei schließlich im Besitz aller Zwangsmittel. Und kalkulierte nicht ein, dass es auch die Möglichkeit gibt, sich dem Zwang durch zivilen Ungehorsam zu entziehen. Was Bilder und Diskurse von weit größerer Macht erzeugt. Die Kapitänin der Sea Watch versucht gerade die Probe aufs Exempel. […]

Der Tagesspiegel | 27.06.2019

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O capitana! Mia capitana!

„ROTTA VERSO LAMPEDUSA“ – Carola Rackete, comandante della Sea Watch, sfida il ‚capitano‘ leghista. Tedesca, donna. Sceglie col cuore e non con le regole scritte, disobbedisce e crea scandalo, e di fatto sostituendosi all’opposizione, che si è accodata al suo gesto

Angela Mauro

Visto a distanza, nel comodo dell’aria condizionata che ripara dai 40 gradi all’ombra, sembra un film. Dalla trama avvincente, a tratti classica, dell’eroe che lotta contro l’ingiustizia, per i diritti, anche a costo di sfidare le leggi. Solo che qui è tutto vero. E non è secondario che l’eroe sia una eroina: Carola Rackete, ‘capitana’ della Sea Watch, 31 anni, donna, tedesca, studi nelle università del Regno Unito, nostromo sulle navi di ricerca oceanografica al Polo nord, poi volontaria di Greenpeace e ora dedicata ai migranti nel Mediterraneo. Carola prende la decisione forse più dura. Sfida il ‘capitano’, come lo chiamano i fans, Matteo Salvini, una fortuna elettorale incassata a furia di dichiarazioni contro gli immigrati. Carola non si ferma di fronte ai no italiani e nemmeno di fronte al no della Corte di Strasburgo, che ieri ha bocciato il ricorso presentato dalla Sea Watch. Carola decide, di fatto costituendosi come unica voce vitale nell’afonia totale dell’opposizione, che solo dopo il suo gesto si è mossa verso Lampedusa.

“Ho deciso di entrare nel porto di Lampedusa. Conosco i rischi, ma i 42 naufraghi a bordo sono esausti. Li porto in salvo”, annuncia su twitter prima di avviarsi.

Questa è una storia soprattutto di cuore, poi di testa. Dopo 13 giorni a inventarsi rotte a zig zag per passare il tempo in mare aperto, fuori dalle acque territoriali italiane interdette per i divieti del vicepremier leghista e i silenzi del resto del governo, Carola si rifiuta di riportare i migranti nell’inferno della Libia, un porto che solo Salvini ritiene sicuro a dispetto di quanto dicano l’Ue e anche l’Alto commissario Onu per i rifugiati (Acnur). Non li porta in Tunisia, né a Malta. Carola compie la scelta più indolore per la sua coscienza e per i naufraghi a bordo. Ma è la scelta più difficile per le conseguenze: sequestro della nave, arresto, multe? Conosce i rischi, eppure rischia. Disobbedisce. E, certa del clamore mediatico in Italia, solleva il problema di fronte all’Ue che resta indifferente.

Cuore, umanità e poi testa. E’ perché Carola è donna e, al posto suo, un uomo non avrebbe osato tanto? Banale. Non è questo il punto e non è questo il tempo. I ragionamenti di genere lasciano il tempo che trovano: poco. Il punto forse è che “non si nasce donne: si diventa”, come diceva Simone De Beauvoir. E non si nasce uomini, si diventa. E in certi casi si compie la scelta che, a giudicare da come va il mercato dei voti oggigiorno, forse sarà la più criticata, soprattutto sui social e sempre dal fresco dell’aria condizionata che ti ripara dai 40 gradi all’ombra.

E’ una scelta di coraggio, contro-corrente. Si può dire. Nei suoi tweet dalla Sea Watch, Carola denuncia anche l’Europa che non accoglie e che ha praticamente fatto suo il piano di Salvini. Un esempio tra tutti: al G7 dei ministri degli Interni ad aprile a Parigi, il ministro francese Christophe Castaner, fedelissimo di Macron, ha usato le stesse parole del vicepremier italiano contro le ong che salvano vite in mare: “Complici degli scafisti”. Nè gli altri governi stanno battendo un colpo, di fronte all’odissea della Sea Watch. In Germania, la patria di Carola, alcuni municipi si sono offerti di accogliere i migranti della nave battente bandiera olandese, ma il ministero degli Interni non ha dato l’ok, raccontano i media tedeschi. Olanda non pervenuta. Eppure Carola agisce secondo coscienza.

Fa disobbedienza civile: un concetto che oggi fa inorridire gli ammalati di sola legalità qualunque essa sia, ma che nella storia ha costruito resistenze vere contro quella che Hannah Arendt, un’altra donna, tedesca anche lei, chiamava la “banalità del male”, l’indifferenza che porta a non giudicare, a non farsi domande e a obbedire. Disobbedienza civile: “praticata da minoranze organizzate, unite da un convincimento condiviso più che da una comunanza di interessi, e dalla scelta di protestare contro una politica governativa, anche qualora essa goda dell’appoggio della maggioranza”, scriveva Arendt, che osava addirittura proporre l’introduzione del concetto di disobbedienza civile nell’ordinamento, nel suo caso americano, in modo da dare pieno riconoscimento giuridico alle “minoranze di opinione” al pari delle lobby di interessi. Che scandalo.

Ecco, forse Carola mena scandalo in Italia e magari anche in Ue. Ma cos’è lo scandalo se non un concetto labile, relativo ai tempi, fissato solo dalle “convenzioni” e dalla “moralità corrente”, come insegna la Treccani? A bordo della Sea Watch ci sono vite umane che chiedono aiuto. Quarantadue persone: Salvini le spoglia della loro umanità e le trasforma in figurine da campagna elettorale permanente. L’Europa resta muta, come sempre sull’immigrazione. Carola dice “no!”, come Rosa Parks che rifiutò di cedere il suo posto a un bianco sul bus. Anche lei menò scandalo nell’Alabama del 1955. Rosa è diventata un film, che ci fa commuovere nel ricordo delle battaglie per i diritti civili dei neri d’America. La Sea Watch è ancora realtà. Ma commuove poco, tanto che la politica respinge, accusa, al massimo non parla.

Huffington Post | 26.06.2019

Sea-Watch 3 in Sichtweite des Hafens von Lampedusa