Momentan wartet die „Sea Watch 3“ vor den italienischen Gewässern bei Lampedusa. Es ist wohl wiederum die Aufgabe der Staatsanwaltschaft Agrigent, das Schiff vorübergehend zu beschlagnahmen, um die Geretteten an Land zu bringen. Politisch geht die italienische Regierung mit einer unerhörten Hetze in die Konfrontation.

Die italienische Tageszeitung „La Repubblica“ schreibt: Auf Anordnung der italienischen Regierung und italienischer Geheimdienste, die auf dem Kriegsschiff „Capri“ vor Tripolis stationiert sind, hat die sogenannte libysche Küstenwache gestern die „Sea Watch 3“ angewiesen, ihr die 52 Geretteten in Tripolis zu übergeben. Der Hafen sei sicher. Die UNO und zahlreiche Gerichtshöfe in Italien wie auch des Europäischen Menschenrechtsgerichtshofs haben einen solchen europäischen Push Back explizit verboten. Bekanntermaßen werden rückdeportierte Boat-people in libysche KZs gebracht, die inzwischen mehrfach den libyschen Kriegswirren ausgesetzt waren.

Der italienische Innenminister Matteo Salvini hat eine vorzeitige Anwendung seines Dekrets angekündigt, das die Einfahrt der Sea Watch 3 in italienische Gewässer verbietet, weil sie den Anordnungen der sogenannten libyschen Küstenwachen-Leitstelle nicht Folge geleistet hat.

Außerdem greift Salvini bei seinen Beschimpfungen der Seenotretter*innen zu einer bemerkenswerten neuen Wortwahl: Die „Sea Watch 3“ sei ein Piratenschiff, es sei „fuori legge“ (deutsch: „vogelfrei“). Rhetorisch gibt er es zum Abschuss frei.

Möglicherweise, so schreibt „La Repubblica“, haben die Regierungen Italiens und Maltas soeben einen Pakt gegen künftige Anlandungen Geretteter geschlossen.

La Libia, infatti, gestisce formalmente dal giugno 2018 una vasta zona Search and Rescue (Sar), al cui interno coordina le operazioni di ricerca e salvataggio. Si è registrata, con una auto-certificazione, presso l’Imo, l’ente delle Nazioni Unite che regolamenta il traffico marittimo. Si tratta, né più né meno, di una bugia internazionale, come Repubblica ha già documentato. Non foss’altro perché la Libia è platealmente priva dell’elemento basilare per gestire una Sar: la presenza di porti sicuri dove condurre in salvo i naufraghi.

Tre diverse agenzie delle Nazioni Unite concordano sul punto. Anche la Commissione europea, due mesi fa, attraverso la portavoce Natasha Bertaud, è stata chiara: “Non ci saranno rimpatri dall’Unione verso la Libia o navi europee che rimandano indietro i migranti. E’ contro i nostri valori e contro le leggi internazionali ed europee”. In Italia cinque sentenze di Tribunale (Ragusa, Palermo, Trapani) ribadiscono lo stesso concetto. Persino Matteo Salvini, il 25 maggio scorso, davanti alle telecamere della trasmissione La Tribù su Skytg24 ha dovuto ammettere: “Adesso la Libia è un porto insicuro, instabile, ed è un problema non solo sul fronte dell’immigrazione”. Si è accorto dell’ovvio, il nostro ministro dell’Interno. Solo negli ultimi dieci giorni le cronache di Tripoli hanno riportato il raid aereo contro l’aeroporto di Mitiga (6 giugno), il bombardamento dell’ospedale Swami Field (7 giugno), il rinnovo di un altro anno dell’embargo per la vendita di armi alla Libia disposto dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (9 giugno).

[…] Il principale è il Decreto sicurezza bis, che permetterà al titolare del Viminale di impedire l’accesso nelle acque territoriali italiane a qualsiasi nave ritenuta “non inoffensiva”. Quali sono, nella sua interpretazione, le imbarcazioni delle ong che disobbediscono all’ordine di riportare i migranti “al porto sicuro” di Tripoli. Ieri, però, il decreto non aveva ancora passato il vaglio del presidente Mattarella, e per questo Salvini è stato costretto a scrivere di getto l’ennesima direrttiva ad navem che ne riproduceva parte del contenuto.

Il secondo è l’ascendente che l’intelligence italiana esercita sulla marina libica. Da mesi, la nave militare Capri è ormeggiata in porto, a Tripoli e da lì, di fatto, aiuta a gestire la Sar libica, nell’ambito dell’operazione Nauras, come dimostrato dalle intercettazioni pubblicate sul sito di Repubblica relative alla gestione di uno degli sbarchi della Mare Jonio, la nave della piattaforma civica Mediterranea.

Il terzo è Malta. Dopo mesi di tensioni e provocazioni reciproche (“se è vero che Malta fornisce benzina, giubbotti di salvataggio e bussole ai migranti, indirizzandoli verso l’Italia, ne pagherà le conseguenze, io mi sono rotto le palle”, diceva Salvini non più tardi del novembre scorso), ieri fonti del Viminale diffondono un comunicato stampa congiunto Italia-Malta, in cui danno contro di una telefonata col premier maltese Muscat. “Hanno condiviso – si legge – l’esigenza di proseguire la collaborazione volta a sostenere le auorità libiche per rafforzarne la capacità di soccorso in mare e di controllo delle frontiere”.

Uno, due, tre. Ecco la tenaglia. Che permette a Salvini di ribaltare il tavolo e, da accusato di sequestro di persona, accusare pubblicamente dello stesso reato le ong che non riportano i migranti in Libia, sollecitando così l’attenzione delle forze di polizia di cui è vertice politico. Una manovra che però rischia di schiantarsi, come sovente accade con le forzature di Salvini, sullo scoglio del diritto. “La direttiva – spiega Fulvio Vassallo Paleologo, docente di diritto d’asilo all’Università di Palermo – si fonda su due presupposti: il dovere di obbedire alla guardia costiera libica e il potere di vietare, o limitare, l’accesso alle acque territoriali italiane. Il primo è stato dichiarato infondato dalle Nazioni Unite, e il secondo appare in violazione del divieto di respingimenti collettivi, ribadito dall’articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea“.

La Repubblica | 14.06.2019

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In queste ore il Governo italiano sta esprimendo il peggio di sé, il totale disprezzo per la vita di chi fugge dell’inferno Libico. Riportare i migranti in Libia è inumano e illegale. Lo dicono le Nazioni Unite, lo dice l’Unione Europea, lo dicono 5 sentenze di tribunali italiani, lo ha ammesso anche il Viminale solo qualche giorno fa». Lo dice Mediterranea parlando degli sviluppi sulla nave Sea watch. «Una cinica manovra a tenaglia che si scontrerà, ancora una volta, sullo scoglio del diritto», dice l’ong.

Leggo | 14.06.2019

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Il ministro dell’Interno Matteo Salvini – leader leghista nonché (vice)premier – sostiene che la Libia è un posto sicuro per i migranti. Così ha “ordinato” alla nave Sea Watch 3, che l’altro ieri ne aveva soccorsi 52 in mare, di riportare tutti in quel Paese. Ovviamente la nave non lo farà.

Intanto sul sito Viaggiaresicuri.it gestito dal ministero degli Esteri del suo governo – citato perché il leader leghista non crede ad autorevoli fonti internazionali, tipo l’Onu – si legge a proposito della Libia (testo valido al 14 giugno 2019):

1. “I viaggi sono assolutamente sconsigliati in ragione delle precarie condizioni di sicurezza nel Paese”.

2. “Alitalia ha interrotto i collegamenti tra Italia e Libia. L’aeroporto militare di Tripoli (Mitiga) risulta al momento operativo, ma si verificano con relativa frequenza repentine chiusure collegate ad eventi sul piano della sicurezza”.

3. “Si ribadisce l’invito ai connazionali a non recarsi in Libia e, a quelli presenti, a lasciare temporaneamente il Paese in ragione della assai precaria situazione di sicurezza. Scontri tra gruppi armati interessano varie aree del Paese (incluso in Tripolitania, nell’area intorno a Sirte, a Sebha, Bengasi, Derna e Sabratha). Permane inoltre, anche nella capitale, la minaccia terroristica e elevato rischio rapimenti. Si registrano elevati tassi di criminalità anche nelle principali città e strade del Paese, tra cui il tratto stradale costiero dalla Tunisia all’Egitto”.

4. “Rischio terrorismo. Cellule jihadiste sono presenti in varie parti del Paese, inclusa la capitale. Attacchi terroristici rivolti a libici e stranieri, anche con ricorso ad autobombe, hanno avuto luogo a Tripoli (da ultimo contro la Commissione Elettorale il 2 maggio e contro la National Oil Corporation il 10 settembre 2018). Si sottolinea che standard adeguati di sicurezza non sono garantiti nemmeno nei grandi hotel della capitale, che sono anzi considerati ad alto rischio. Si richiama inoltre l’elevato rischio di sequestri di cittadini stranieri, a scopo di estorsione o di matrice terrorista, in tutto il Paese”.

5. ”Le strutture sanitarie sono inadeguate. Ogni qualvolta sia possibile, si consiglia pertanto il trasporto del paziente verso Italia, Tunisia o Malta. Si raccomanda di stipulare prima della partenza una polizza assicurativa che preveda la copertura delle spese mediche e l’eventuale rimpatrio aereo sanitario del paziente (o il trasferimento in altro Paese), considerando però che le evacuazioni mediche dalla Libia sono per il momento estremamente problematiche”.

Ovviamente queste raccomandazioni valgono solo per noi italiani. Per i migranti invece – secondo il leader leghista – la Libia è un luogo ameno, salubre, pacifico, sicuro e rilassante. Garantisce lui.

Il Fatto Quotidiano | 14.06.2019

Sea Watch aktuell: Barbaren gegen Seenotrettung