Die libyschen Küstenmilizen, die mit Patrouillenschiffen aus Italien und mit EU-Geldern eine sogenannte Küstenwache betrieben hatten, haben die Patrouillenschiffe abgezogen und nutzen sie jetzt für den laufenden Krieg. Dies berichtet die Vatikan-nahe Tageszeitung „Avvenire“ unter Berufung auf italienische Regierungsquellen. „Avvenire“ schreibt, die Libyer hätten die Seenotrettung im zentralen Mittelmeer einstweilen „unterbrochen“, man warte auf eine regierungsoffizielle Bestätigung.

Mehrere Indizien deuten auf den Abbruch der ohnehin phantomhaften Küstenwachen-Aktivität hin. Erstens sind Fotos im Umlauf, die schwerbewaffnete Soldaten mit montierten Schnellfeuergewehren auf diesen Schiffen zeigen; mit der Kriegsverwendung der aus Italien gelieferten Schiffe wird die italienische Regierung Probleme wegen des UN-Waffenembargos bekommen. Zweitens wurden am 18.04.2019 abgehörte Gespräche zwischen dem italienischen MRCC, dem dauerhaft in Tripolis stationierten italienischen Kriegsschiff und den Küstenwachen-Milizen veröffentlicht, die eine international verbotene Kommandostruktur belegen: Die libysche Unterlassung der Seenothilfe sowie das libysche Refoulement abgefangener Bootsflüchtlinge wird demnach von italienischen Militärs und Politikern organisiert, die libyschen Küsten(wachen)-Milizen sind deren Befehlsempfänger. Drittens ist zwischen der italienischen Mitregierungspartei „Movimento5 Stelle“, die das Verteidigungs- und das hafenrelevante Transportministerium hält, und der „Lega“ des Innenministeriums ein Streit über offene Häfen und italienische Seenotrettung ausgebrochen.

Damit haben drei offene Konflikte begonnen: Rund um die Regierung in Tripolis, um die Überwachung des zentralen Mittelmeers und in der Regierung in Rom. Es ist höchste Not, dass die NGO-Rettungsschiffe wieder in die Todeszone fahren. Gestern wurde das italienische Schiff „Mare Jonio“ fünf Stunden lang polizeilich durchsucht, morgen müsste sich das Rettungsschiff von „Open Arms“ dem zentralen Mittelmeer nähern. „Open Arms“ wurde regierungsamtlich verboten, auf See zu retten, wird sich nach eigenem Bekunden aber an die auf See geltenden Gesetze der Rettung halten und wird nach dem Auslaufen in Barcelona und dem Durchqueren des Mittelmeers in der Ägäis aktiv werden.

Tripoli interrompe i soccorsi in mare e usa le navi italiane per la guerra

Tripoli e Roma minimizzano ma c’è chi ammette: le navi sono impegnate nella guerra libica. E ora l’Italia rischia un richiamo dell’Onu per non avere rispettato l’embargo sulla fornitura di armi.

La Guardia costiera libica è in guerra e non ha tempo per pattugliare l’area Sar e prestare soccorso

Aveva ragione l’Organizzazione marittima internazionale (Imo) a esprimere «preoccupazione per la situazione in Libia». Seppure da Tripoli si rifiutano di ufficializzarlo, l’area di ricerca e soccorso libica da giorni non è più interamente operativa. Non bastasse, si paventa il rischio di una violazione dell’embargo Onu sulle armi da guerra a causa delle motovedette fornite dall’Italia e «modificate» dai militari della Tripolitania.

Da ieri vengono fatte circolare immagini di mitragliatori pesanti, fissati sulle torrette delle navi. Prima della consegna, però, i cantieri navali della Penisola a cui era stato affidato il rinnovamento, avevano completamente eliminato ogni arma dagli scafi, conformemente all’embargo stabilito dall’Onu e prorogato nel luglio 2018 per altri dodici mesi. Gli scatti vengono fatti circolare da quanti, proprio a Tripoli, vogliono smentire che la Guardia costiera non sia operativa. Un boomerang, perché secondo gli accordi le navi di fabbricazione italiana avrebbero dovuto essere usate solo per il pattugliamento marittimo e non per operazioni militari.

Una conferma indiretta arriva da Roma. «La prosecuzione del conflitto potrebbe distogliere la Guardia costiera libica – spiega un portavoce del ministero delle Infrastrutture – dalle attività di pattugliamento e intervento nella loro area Sar, per orientarsi su un altro genere di operazioni». A cosa si riferiscano lo spiegano proprio i post pubblicati in rete attraverso profili vicini all’esercito del presidente Serraj: militari in tenuta da combattimento sul ponte delle navi che mostrano mitragliatori fissati sulle torrette. In passato i guardacoste libici avevano usato sistemi analoghi, il 26 maggio 2017 addirittura sparando «per errore» contro una motovedetta italiana. Subito dopo i cannoncini furono rimossi e mai più visti a bordo, dove di tanto in tanto apparivano militari con mitragliatori a spalla.

«Non abbiamo notizie ufficiali circa una riduzione delle capacità Sar della Guardia costiera libica», spiegano dal ministero guidato da Danilo Toninelli dopo avere approfondito la questione anche con il Coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso (Mrcc) di Roma. La Libia, dunque, non ha ufficializzato all’Italia alcun abbandono della propria Sar.

Farlo, del resto, avrebbe comportato l’immediata cancellazione della registrazione della competenza libica, costringendo l’Italia e l’Europa a decidere se tornare a coprire, come avveniva in passato, quel tratto di Mediterraneo. Oppure abbandonare nel nulla i migranti che continuano a partire. Le autorità italiane, però, sembrano non fidarsi affatto dei colleghi tripolini, la cui operatività «è quella che sappiamo tutti», aggiungono dalle Infrastrutture. Perciò «la nostra attenzione sulla Sar libica è alta». Nel corso di alcune interviste era stato anche il ministro dell’Interno libico a confermare che «la Guardia costiera è focalizzata sulla protezione della popolazione e della Tripolitania e ha dovuto interrompere le operazioni di intercettazione degli immigrati».

Ci sono però anche difficoltà tecniche. «Negli ultimi giorni – spiega un operatore umanitario di un’agenzia internazionale – scarseggia il carburante e le navi della Guardia costiera sono a secco». Testimonianza confermata anche da alcuni addetti alla sicurezza di aziende italiane presenti nel porto di Tripoli.

Avvenire | 20.04.2019

Libyen beendet Küstenwache-Aktivität? Konflikte brechen auf