Die UN-Flüchtlingsorganisation hat Beweise dafür, dass beide Parteien im libyschen Bürgerkrieg Migranten in den Lagern nötigen, an ihrer Seite zu kämpfen. Wenn nicht, drohe ihnen unbefristete Haft. Die Rekrutierung erfolgt durch sudanesische Kombattanten, welche die Migranten vor die Alternative stellen: entweder ihr kämpft oder ihr bleibt für eine unbestimmte Periode eingesperrt. Lt. UNICEF gilt das auch für Kinder und Jugendliche.

Wer sich auf die Erpressung einlässt, erhält eine Uniform, eine Waffe und wird sofort an die Front im urbanen Guerillakrieg geschickt. „In diesen Tagen ist der Markt für Sklaven, die man in den Tod schicken kann, voll ausgelastet“, heißt es aus einer privaten Sicherheitsagentur in Tripolis, „um die Stadtviertel zu kontrollieren und Haus für Haus auf die Schlacht vorzubereiten. Wenn die Migranten dabei sterben, gibt es keine Verluste.“

Migranti come carne da cannone, arruolati coi ricatti dalle milizie libiche

Adulti o mocciosi non fa differenza. L’importante è che siano migranti e che sappiano premere il grilletto.

Perché anche i ragazzini in Libia sono carne da cannone da gettare in battaglia. Lo denuncia Henrietta Fore, direttore esecutivo dell’Unicef che chiede «a tutte le parti in conflitto, e a coloro che hanno influenza su di loro, di proteggere i bambini, di porre fine al loro reclutamento». In una dichiarazione, l’agenzia delle Nazioni Unite per la tutela dei minori menziona alcuni «report su bambini mutilati, uccisi e anche reclutati per combattere».

Dello stesso tenore l’accusa dell’Acnur, preoccupata per l’arruolamento forzato dei prigionieri. «Abbiamo le prove», assicura Vincent Cochetel, inviato dell’alto commissariato per i rifugiati nel Mediterraneo Centrale. Prove ottenute «attraverso migranti che si trovano nei centri di detenzione». Il reclutamento avverrebbe per mano di combattenti sudanesi che stanno offrendo ai migranti reclusi un’alternativa alla detenzione.

Un ricatto: «Restare imprigionati per un periodo indefinito oppure combattere». Al momento né Cochetel né gli altri funzionari Onu sul terreno sono in grado di fornire una stima sul numero dei “migranti-soldato”.

Nei centri di detenzione ufficiali si trovano circa 3mila persone. […]

L’Avvenire | 18.01.2020

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Libia, al mercato di Tripoli dove i migranti diventano soldati

[…] La rotonda Fashelom, alla periferia di Tripoli, è il discount del soldato. L’outlet del mercenario low cost. Il self service del migrante da arruolare. Alle sei del mattino la scena è identica a questa rotonda e in tutte le città della Libia, in Tripolitania e in Cirenaica, al mercato dell’ovest di Sarraj e alla fiera dell’est di Haftar. Si cerca carne da cannone. E l’ufficio di collocamento per la guerra è ovunque, fra i palazzi in costruzione o nel retro dei bar. In Libia, al contrario di quel che si crede, non è più d’un migrante su dieci a stare nei centri di detenzione: gli altri sono per le strade, liberi di sognare l’Italia e poco altro, spesso in condizioni non meno terribili.

La merce umana così s’espone di buon’ora sui marciapiedi sbrecciati — decine d’africani ad aspettare in ciabatte, i piedi impolverati come le vite, neri di pelle e di futuro — e chi passa col pick-up si ferma qualche minuto, scruta i lavoranti in offerta speciale, ordina ciò che serve: uno che oggi gli porti la carriola per cinque euro a giornata, uno che sappia dare la biacca a un palazzo, uno che scarichi i camion. O uno che se ne vada in guerra: a sparare nelle milizie, se è buono; a spalare nelle retrovie, se non sa far altro. C’è chi dice sì perché in fondo pagano, 300 euro al mese più vitto e alloggio. C’è chi dice no, perché non vuol pagare con la vita. C’è chi non dice niente perché il dio dei libici non paga il sabato e nemmeno gli altri giorni, e quindi si va e basta: «Fino a due giorni fa c’era qui un ragazzo ciadiano che si chiama Abu Bakar — raccontano — un tebu delle tribù del sud. Fa il muratore. Se però vuoi il lavoro, gli hanno ordinato, prima devi andare nella zona di Salah-al-Din». Ma là non ci sono cantieri, c’è il fronte… «Lui sa cavarsela». […]

Corriere della Sera | 20.01.2020

Libyen: Migranten als Kanonenfutter